La terapia possiede una temporalità propria: c'è un inizio, una fase di lavoro e si conclude con una presa di congedo. La fine della terapia è un momento essenziale del processo di cura, spesso largamente imprevedibile; la sola cosa da prevedere è la fine stessa.
Le modalità per concludere una terapia necessiterebbero un'attenzione pari a quella che è stata data all'entrare in terapia[1].
Nel corso del processo terapeutico gli individui, le coppie e le famiglie acquisiscono risorse, archiviano vissuti dolorosi, danno loro un senso, allargano il loro ventaglio di scelte e le loro possibilità d'esistenza.
Ciò avviene con l’instaurarsi di un legame affidabile che richiede un movimento affettivo condiviso. La fine della terapia comporta quindi una separazione tra clienti e terapeuti che devono elaborare insieme sentimenti di perdita e di distacco. Se la terapia ha permesso la costituzione di un attaccamento sufficientemente sicuro, la separazione, per quanto dolorosa, sarà un momento di crescita soprattutto se ritualizzata come un momento di passaggio durante la preparazione della fine, al momento dell'ultima seduta, e nell'incontro di follow-up.
[1] Stefano Cirillo, Matteo Selvini, Anna Maria Sorrentino, (2016), Entrare in terapia, Raffaello Cortina Editore Milano
Psichiatra e psicoterapeuta, ha insegnato le medical humanities e l'approccio sistemico in medicina alla Facoltà di Biologia e di Medicina di Losanna e alla Facoltà di Scienze dell'Università di Neuchâtel. Insegna Psicoterapia della famiglia a orientamento sistemico in diversi Centri di formazione in Svizzera, in Francia e in Italia. È didatta della Scuola di Psicoterapia "Mara Selvini".