La globalizzazione e la destabilizzazione creata dai numerosi conflitti armati (non da ultimo quello che si consuma in questi mesi sul territorio Ucraino), dai cambiamenti climatici, dalla povertà e infine dalla pandemia che ha interessato la popolazione su scala mondiale, hanno innescato processi di destrutturazione culturale e socio-politica che espongono milioni di persone all’insicurezza e alla perdita di punti di riferimento certi, se non addirittura a esperienze intenzionalmente violente e traumatiche. Affrontare il tema della salute mentale in tali contesti, che si caratterizzano per una condizione di crisi protratta, richiede una rimessa in discussione delle prassi della clinica, oltre che, ove possibile, l’apertura di fronti di ricerca per aggiornare concetti e teorie della tecnica.
L’attenzione alla salute mentale e al benessere sociale sta diventando un imperativo in tanti interventi che hanno al centro la resilienza e ricostruzione, come per esempio quelli di cooperazione umanitaria, in quanto a essi viene riconosciuto un ruolo fondamentale per ripristinare e garantire livelli di vita accettabili per le persone.
Nel corso del seminario verranno quindi messi in evidenza, come spunto per una riflessione critica, dei punti di caduta e dei punti di appoggio della pratica clinica, proposta in contesti culturali in transizione, interessati da crisi geopolitiche protratte. Questo facendo riferimento all’esperienza realizzata in questi ultimi anni in Niger, Burundi e Centrafrica, oltre che sulla filiera della migrazione "selvaggia", che parte dall'Africa Occidentale organizzandosi tra Senegal e Mali, di cui in Europa ci troviamo a gestire gli esiti, nell'esperienza umana delle persone immigrate.